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La mediazione nei conflitti familiari per superare l’ottica vincitore/perdente


I conflitti sottoposti al vaglio della giustizia interessano un ampia gamma di problematiche e conseguentemente di relazioni umane; possono riguardare un rapporto di vicinato e quindi vertere in tema di relazioni tra vicini di casa, un rapporto di lavoro e quindi interessare una relazione tra un dipendente e un datore di lavoro, una questione di successione e quindi interessare una relazione tra parenti in tema di eredità, ed infine riguardare una problematica attinente all’affidamento della prole e quindi vertere in tema di relazioni coniugali o meglio di relazioni genitoriali.

Il discrimine nei casi sovra citati è duplice: la specificità della materia che può essere quella del diritto del lavoro, del condominio, delle successioni o della famiglia e di conseguenza una differenza in tema di norme sostanziosi e processuali, ma soprattutto un coinvolgimento affettivo nella relazione umana che rende peculiare quel tipo di conflitto.

La giustizia si è interessata e si interessa in modo asettico delle relazioni problematiche, anche di quelle familiari. Proprio in tema di problematiche familiari, di vicissitudini separative e affidamento dei figli è necessario partire dal tipo di relazione esistente tra le persone, è necessario esaminare la dinamica relazionale che ruota intorno al conflitto familiare, in sinergia operativa tra figure professionali di ambito diverso – psicologico giuridico e sociale – [1] .

Nelle vicende familiari è necessario considerare la separazione o il divorzio come un problema di relazione piuttosto che legale nella vita della coppia, non è il successo legale a dare benessere alla coppia ma l’aumento della capacità di autodeterminazione degli ex coniugi come fonte di valorizzazione del sé [2].

E’ necessario dare molto spazio alla dimensione emotivo-affettiva connessa con ogni aspetto pratico, l’attenzione è rivolta al futuro, agli interessi ancora in comune, alla ridefinizione della relazione tra i partner [3].

Nella complessità della conflittualità coniugale è necessario compiere una valutazione sulle parti in causa per delineare i contorni di uno scenario di relazioni che si sta modificando, infatti è importante sapere che non vi può essere uno spazio di bigenitorialità se entrambi i coniugi non hanno elaborato e, quindi superato, il lutto e la colpa del fallimento di un progetto di vita. Traslare questa conoscenza nell’impostazione giuridica può significare prendere in considerazione la diacronia o la sincronia tra tempi giuridici e tempi psicologici in modo da tentare di controllarne gli effetti. L’avvocato psicologicamente sensibilizzato può contenere l’evolversi di una patologia del male di cui molti genitori si ammalano e che si rende evidente ogni qualvolta si colpiscono attraverso i figli [4].

Ebbene nel diritto di famiglia, il modello giudiziario dato che si fonda sull’opposizione degli interessi, mal si adatta a trattare questo tipo di contenzioso. L’azione giudiziaria, infatti, conduce spesso ad acuirsi il conflitto, le parti in ossequio al diritto sostanziale e processuale sono costrette a portare in giudizio le prove, metodologia che inevitabilmente porta all’esasperazione del conflitto, invece che individuare possibili aree di spazio condiviso sul quale poggiare le basi di un possibile accordo. A tale dinamica processuale si aggiungono le lungaggini processuali che rischiano di far incancrenire i conflitti, oppure cattive gestioni dei conflitti per inefficienze legate all’assenza di sezioni specializzate nei Tribunali in materia di diritto di famiglia.

La sentenza emessa da un Tribunale, in ogni caso, statuirà una parte come vittoriosa e l’altra come soccombente, e questo non potrà che avere influenza sul permanere del conflitto, ed in tal modo non si avrà alcuna garanzia che le indicazioni del Tribunale siano rispettate.

I coniugi che si contendono i figli davanti al Tribunale tendono ad emulare una vera e propria guerra, con la convinzione rigida che vincere o perdere la causa sia un evento di significato morale. I coniugi si combattono senza esclusioni di colpi, si accusano, si calunniano, si ostinano a non cedere di un millimetro anche su questioni minori che potrebbero benissimo risolversi con un minimo di disponibilità; coinvolgono i figli in diatribe accanite, li costringono a dar prova di lealtà, alterano i loro atteggiamenti e le loro parole, si occupano di questioni finanziarie ed affettive secondo una stessa logica rivendicativa [5].

Le parti contendenti sono le prime vittime di questa situazione, vivono con angoscia la contesa, provano sentimenti di esasperazione ma anche di colpa, si logorano in un iter processuale che si trascina a lungo tra ricorsi, memorie e rinvii [6].

Pertanto è necessario ed utile ridurre la conflittualità “pubblica”, con i suoi rituali coinvolgenti e arrivare ad una negoziazione “privata” svolta su un piano di realtà, applicata ai singoli problemi concreti che affliggono i coniugi in disaccordo. Una negoziazione che muova dal riconoscimento che, al di là degli interessi in contrasto, permane un ponderoso interesse comune: quello di ridurre la tensione, l’ansia, la conflittualità simbolica e semplificare i tempi ed i costi finanziari e psicologici della causa [7].

Risulta utile percorrere un processo di mediazione, laddove il mediatore, è un terzo che, all’interno di una disputa tra due parti, svolge un ruolo di facilitazione delle comunicazione tra le parti stesse per la chiarificazione delle rispettive posizioni e la ricerca di possibili soluzioni del conflitto.

All’interno della mediazione è necessario definire puntualmente la mediazione familiare, nel quale il punto di arrivo è il raggiungimento di accordi equi e duraturi tra loro, rivolti alla tutela dei minori e al mantenimento dei legami tra generazioni.

Con la mediazione familiare si affronta una trasformazione organizzativa, si tratta di riscoprire i presupposti su cui si fonda il sistema relazionale, di individuare un nuovo ruolo, nuove procedure operative in funzione di un ripensamento delle finalità che cementavano il legame tra i membri del sistema relazionale [8].

Ufficialmente la mediazione nasce negli Stati Uniti nel 1913 introdotta come Servizio di Conciliazione, all’interno del dipartimento del lavoro, con la finalità di risolvere le vertenze di lavoro, successivamente nel 1947 il servizio si trasformerà in Servizio Federale di Mediazione e Conciliazione, affidato ad organismi privati.

Quindi è da un contesto lavorativo che mutua la mediazione familiare, e da questo contesto trae le strategie principali di mediazione dei conflitti.

La mediazione familiare viene elaborata nei primi anni settanta da un avvocato americano O. John Coogler, quest’ultimo personalmente coinvolto nel divorzio della moglie ed avendo sperimentato su di sé la rigidità della procedura per contenzioso, venne in contatto con il centro denominato “The Bridge” e fu favorevolmente colpito dalla metodologia della negoziazione proposta in quella sede [9]. Nel 1975 O. John Coogler fondò la Family Mediation Association rivolta ai coniugi che intendevano negoziare la loro separazione coniugale o rinegoziare gli accordi di divorzio in un’ottica di superamento della logica vincitore/perdente tipica del sistema americano fondato sul sistema accusatorio. Nel 1978 Coogler pubblica il suo testo fondamentale Structured mediation in divorce settlment: a handbook for marital mediatiors. Insieme ai suoi collaboratori Neville e Wood, Coogler ha sviluppato quello che è stato denominato “l’approccio sistemico di mediazione” cui moltissimi mediatori fanno riferimento.

A New York verso la fine degli anni settanta si occupa di mediazione familiare John Haynes, mediatore del lavoro e psicoterapeuta, membro del Social Work Faculty della State University, si dedica in particolare alla formazione alla mediazione degli assistenti sociali e dei consulenti familiari coinvolti nel lavoro con le famiglie in crisi, anche su istanza dei Tribunali. Nel 1981 Haynes pubblica “Divorce mediation: a pratical guide for therapistis and counselors” che rappresenta ancora oggi il testo fondamentale per coloro che si avvicinano alla mediazione familiare.

In Canada la mediazione si diffonde negli anni Settanta ad opera di Irving, terapeuta familiare, che attraverso l’utilizzo della conciliation e la consulenza tecnica nella trattazione dei divorzi cerca di umanizzare la procedura giuridica del processo di operazione e di divorzio.

In Inghilterra, a Bristol, nel 1978 viene aperto il primo servizio di conciliazione familiare, distaccato dal tribunale, con il contributo determinante dell’assistente sociale Lisa Parkinson, seguito dalla creazione di numerosi altri servizi analoghi e dalla costituzione di due associazioni professionali, rispettivamente di operatori psicosociali e di professionisti del diritto interessati all’utilizzo delle tecniche della negoziazione nella consulenza alle coppie in via di separazione.

In Francia la mediazione viene diffusa negli anni Ottanta attraverso il contributo formativo dei mediatori canadesi, che stimolano la creazione di numerosi centri, con operatori di diversa estrazione che concorrono alla costituzione nel 1988 dell’APMF Association pour la promotion de la mediation familiale.

Nel Quebec la mediazione familiare prende avvio nel 1984 attraverso la stesura di un protocollo di intesa tra il Centre de service sociale di Montreal metropolitane e la Court Superieur del Quebec per definire le procedure utili alla mediazione. La mediazione familiare entra poi a far parte di un progetto permanente di aiuto alla famiglia e il 13 giugno 1997 viene emanata una legge che prevede un colloquio informativo rivolto alla famiglia sulle risorse disponibili per la soluzione negoziata del conflitto, al quale possono seguire almeno cinque sedute gratuite di mediazione per la ricerca di un accordo condiviso [10].

In Italia si parla di mediazione familiare verso la fine degli anni Ottanta, con due esperienze significative.

La prima nasce nel 1987 a Milano dove GEA (Centro genitori ancora) opera con un modello di mediazione parziale mutuato dalla conciliation inglese, centrato sulla responsabilizzazione dei genitori circa la tutela dei figli che non vengono coinvolti nel processo di mediazione. Il lavoro di mediazione familiare viene effettuato in un servizio organizzato dal Comune di Milano.

La seconda esperienza nasce a Roma nel 1988 da un collaborazione tra il Centro studi di psicologia giuridica dell’età evolutiva e della famiglia dell’Università la Sapienza e l’Ufficio Tutele della Pretura di Roma con lo scopo di creare un contesto all’interno del quale possa essere attivata un accoglienza psicologica e ricercato il significato relazionale dell’esperienza della operazione.

Nel 1988 a Bruxelles si è tenuto il primo Colloque International sur la mediation in Europe e nel 1990 a Caen il primo congresso Europeo.

Nel 1995 in Italia viene fondata l’AIMS – Associazione Internazione Mediatori Sistemici – seguita dopo qualche mese da SIMEF – Società Italiana di Mediazione Familiare -.

Nel 1997 a Marsiglia i centri aderenti a molte delle associazioni sparse in Europa hanno aggiornato i principi costitutivi della Carte européenne de la formation des médiateurs familiaux, dando origine al Forum europeo dei centri di formazione alla mediazione familiare, che ha effettuato il suo primo congresso a Lione nel giugno del 1998.

La prima definizione di mediazione familiare messa a punto in Europa è quella fornita dall’Association pour la Promotion de la Mediation Familiale (APMF 1990) che definisce: “La mediazione familiare, in materia di divorzio o di separazione, è un processo in cui un terzo, neutrale e qualificato, viene sollecitato dalle parti per fronteggiare la riorganizzazione resa necessaria dalla separazione, nel rispetto del quadro legale esistente. Il ruolo del mediatore familiare è quello di portare i membri della coppia a trovare da sé le basi di un accordo durevole e mutuamente accettabile. Tenendo conto dei bisogni di ciascun componente della famiglia e particolarmente di quelli dei figli in uno spirito di corresponsabilità e di uguaglianza dei ruoli genitoriali”.

Per quanto riguarda l’Italia la definizione data dalla Società Italiana di Mediazione Familiare (SIMEF 1995) definisce la :”Mediazione familiare un percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o in seguito alla separazione o al divorzio: in un contesto strutturato il mediatore familiare, come terzo neutrale e con una preparazione specifica, sollecitato dalle parti, nella garanzia del segreto professionale e in autonomia dall’ambito giudiziario, si adopera affinché i partner elaborino in prima persona un programma di separazione soddisfacente per sé e per i figli, in cui possono esercitare la comune responsabilità genitoriale”.

L’Associazione Internazionale Mediatori Sistemici (AIMS 1995) all’interno della mediazione sistemica, definisce la mediazione familiare di separazione di divorzio come “Un percorso di aiuto alla famiglia prima, durante e dopo la separazione o il divorzio, che ha come obiettivo quello di offrire agli ex coniugi un contesto strutturato e protetto, in autonomia dall’ambiente giudiziario, dove poter raggiungere accordi concreti e duraturi su lacune decisioni, come l’affidamento e l’educazione dei minori, i periodi di visita del genitore non affidatario, la gestione del tempo libero, la divisione dei beni. Il modello sistemico, tenendo conto dell’intero sistema familiare, propone una lettura complessa della dinamica relazionale che ruota intorno al conflitto a dotta un approccio interdisciplinare sollecitando il dialogo e la sinergia operativa tra figure professionali in ambito diverso, psicologico, giuridico e sociale. L’intervento viene effettuato con entrambi i partner e, quando il mediatore lo ritenga necessario, anche con i figli, riconoscendo il ruolo attivo che essi svolgono all’interno della dinamica familiare”.





La mediazione familiare: tecniche di mediazione

La mediazione familiare trova ingresso nel procedimento di separazione personale dei coniugi con la Legge 2 agosto 2006 n. 54 nota come - Legge sull’affido condiviso -, il riferimento normativo all’istituto della mediazione familiare è contenuto nell’art. 155 sexies, secondo comma, c.c., introdotto dall’art. 1 delle Legge 54/2006.

L’art. 155, sexies, 2° comma, c.c. rubricato Poteri del giudice e ascolto del minore dispone quanto segue: “ […]Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale materiale dei figli.”.

L’indipendenza della mediazione familiare dal sistema giudiziario è una caratteristica definita fondamentale dalla maggior parte dei mediatori familiari. La coazione, infatti, è ritenuta antitetica rispetto alla promozione di aspetti di responsabilità. Si ritiene che i problemi siano due: la coazione rispetto ad un intervento di mediazione familiare e la commistione tra la mediazione familiare e gli aspetti valutativi [11].

Nel sistema giudiziario italiano i mediatori non sono tenuti a relazionare al giudice come invece accade nel caso della consulenza tecnica di ufficio. Nell’attuale previsione legislativa la mediazione familiare non è obbligatoria, il problema è prestare attenzione alle modalità di invio, infatti il fatto che sia il giudice, svolgendo la funzione di inviante, a proporre la mediazione potrebbe ingenerare una serie di aspettative in chiave coercitiva o valutante che, se non prese in considerazione potrebbero precludere il buon esito dell’intervento [12].

La sezione di mediazione familiare della Facoltà di Psicologia di Roma ha predisposto alcuni accorgimenti per cautelarsi contro i rischi sovra esposti:

1) l’organizzazione di una serie di incontri con i magistrati in cui sono state definite alcune regole volte a superare i vincoli della procedura di invio (precisazione che non ci debba essere nessun invio di relazioni se non una comunicazione di presa in carico della famiglia e di un intervento conclusivo);

2) la possibilità di lasciare alla coppia un tempo, dal momento in cui è stato effettuato l’invio, per ripensare alla proposta di mediazione familiare;

3) la presentazione dell’attività svolta dal servizio alla coppia.

Il 29 luglio del 2008 è stato presentato in Senato il Disegno di Legge n. 957 sul tema - Modifiche al codice civile e al codice di procedura civile in materia di affidamento condiviso – che di recente è stato virtualmente sostituito dal Disegno di Legge n. 2454, comunicato alla Presidenza il 16 novembre 2010, intitolato – Nuove norme sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati -.

Entrambi i citati testi normativi prevedono all’art. 5 l’abrogazione del 2°comma dell’attuale art. 155 sexies c.c.; il DDL n. 957 all’art. 8, prevede, l’inserimento nel codice di procedura civile dopo l’articolo 709 bis dell’art. 709 bis.1 c.p.c. rubricato Mediazione Familiare che testualmente così recita: “In tutti i casi di disaccordo nella fase di elaborazione del progetto condiviso le parti hanno l’obbligo, prima di adire il giudice e salvi i casi di assoluta urgenza o di grave ed imminente pregiudizio per i minori, di acquisire informazioni sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione familiare, rivolgendosi ad un centro pubblico o privato i cui operatori abbiamo formazione specifica ed appartengano ad albi nazionali specifici pubblici o privati registrati nell’apposito elenco del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Ove l’intervento che può essere interrotto in qualsiasi momento, si concluda positivamente, le parti presentano al presidente del tribunale il testo dell’accordo raggiunto. Gli aspetti economici della separazione possono far parte del documento finale anche se concordati al di fuori del centro di cui al primo comma. In caso di insuccesso le parti possono rivolgersi al giudice, ai sensi dell’art. 709 ter (c.p.c. n.d.r.).

In ogni caso la parte ricorrente deve allegare al ricorso la certificazione del passaggio presso il centro di cui al primo comma o concorde dichiarazione circa l’avvenuto passaggio.

In caso di contrasti insorti successivamente, in ogni stato e grado del giudizio o anche dopo la sua conclusione, il giudice segnala alle parti l’opportunità di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare, di cui al primo comma. Se la segnalazione trova il consenso delle parti, il giudice rinvia la causa ad altra data in attesa dell’espletamento dell’attività di mediazione”.

Il DDL n. 2454 all’art. 8 prevede l’inserimento dopo l’art. 706 del codice di procedura civile dell’art. 706 bis rubricato - Mediazione familiare – che testualmente recita “In tutti i casi di disaccordo nella fase di elaborazione di un affidamento condiviso le parti hanno l’obbligo, prima di adire il giudice e salvi i casi di assoluta urgenza o di grave ed imminente pregiudizio per i minori, di acquisire informazioni sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione familiare, rivolgendosi ad un centro pubblico o privato, i cui operatori abbiamo formazione specifica ed appartengano ad albi nazionali specifici pubblici o privarti registrati nell’apposito elenco del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

Ove l’intervento che può essere interrotto in qualsiasi momento, si concluda positivamente, le parti presentano al presidente del tribunale il testo dell’accordo raggiunto. Gli aspetti economici della separazione possono far parte del documento finale, anche se concordati al di fuori del centro di cui al primo comma. In caso di insuccesso le parti possono rivolgersi al giudice, ai sensi dell’articolo 706.

In ogni caso la parte ricorrente deve allegare al ricorso la certificazione della acquisizione di informazioni presso il centro di cui al primo comma o concorde dichiarazione in tal senso; analogo obbligo incombe sulla parte resistente.

In caso di contrasti insorti successivamente, in ogni stato e grado del giudizio o anche dopo la sua conclusione, il giudice segnala alle parti l’opportunità di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare, di cui al primo comma. Se la segnalazione trova il consenso delle parti, il giudice rinvia la causa ad altra data in attesa dell’espletamento dell’attività di mediazione”.

Queste impostazioni hanno il vantaggio di favorire lo sviluppo della responsabilità genitoriale, lasciando ai genitori la scelta di avvalersi dell’istituto della mediazione, e questo senza ricorrere a strumenti coercitivi; l’informazione sulla mediazione viene resa direttamente dai professionisti del settore che metteranno a disposizioni delle parti informazioni dettagliate sulla procedura di mediazione e la sua finalità.

Una maggiore consapevolezza anche da parte dei legali nell’utilità dello strumento della mediazione nella risoluzione dei conflitti familiari e una multi professionalità negli studi legali potrebbe condurre all’applicazione della metodologia della:

mediazione integrata: modello utilizzato negli USA da quegli avvocati che considerano il divorzio come un problema relazionale piuttosto che legalenella vita della coppia. Nella consapevolezza che non sia il successo legale a dare benessere alla coppia, ma l’aumento della capacità di autodeterminazione degli ex coniugi come fonte di valorizzazione del sé [13].

Un intervento dove viene dato molto spazio alla dimensione emotivo-affettiva connessa con ogni aspetto pratico, dove l’intervento viene svolto da due professionisti diversi, il mediatore e l’avvocato, in luoghi separati ma in modo integrato.

I due professionisti possono affrontare le stesse questioni partendo dai diversi punti di vista e possono lavorare insieme, condividendo la responsabilità di gestire il conflitto, l’intenzione di lavorare sul futuro, l’obiettivo di ridefinire la relazione tra i partner, ai quali chiedono non quanto vogliono ottenere dalla negoziazione, ma quanto sono disposti a spartire con l’altro, rovesciando la logica della consulenza legale[14].

In questo tipo di mediazione, prima di avviare il processo mediativo, preliminarmente vengono valutate le capacità collaborative della coppia; si prevede l’intervento tra mediatori con formazione umanistica e quelli con formazione legale, ed entrambi hanno la possibilità di affrontare sia le tematiche economico-patrimoniali che quelle legate all’affidamento dei figli.

I mediatori lavorano separatamente ma in modo integrato.

La mediazione strutturata: invece è un modello di mediazione predefinito nelle sue fasi e richiede il rispetto di oltre quaranta regole. Ideatori di questo tipo di mediazione sono stati l’avvocato Coogler (1978) e l’esperto in arbitrati e negoziazioni e mediazioni nel mondo del lavoro Heynes (1981).

In questo metodo la centratura sul compito assegnato ai due coniugi diventa un modo per contenere i momenti esplosivi ed irrazionali, caratteristici in tale tipo di tematica.

Il modello mediativo è fortemente incentrato sul compito ed fondato sui principi della negoziazione provenienti dal mondo del lavoro e delle relazioni internazionali, e mira a stabilire la comunicazione e la collaboratività tra le parti lasciando ampio spazio all’autodeterminazione.

Il matrimonio è inteso come un contratto, e in caso di scioglimento dello stesso gli autori di questo modello mediativo ricorrono alle regole con le quali si scioglie un legame tra soci.

Un passaggio fondamentale è quello di dedicare ampio spazio all’autodeterminazione e molta cura nello stabilire un equilibrio nella coppia, pariteticamente a quanto avviene nel mondo degli affari.

In questo processo di mediazione non sono previsti incontri individuali, perché ritenuti contrari al principio fondamentale della mediazione che è la neutralità tra le parti.

L’intervento si fonda sul presupposto che solo un modello di intervento ben definito sia in grado di proteggere dal caos ed di ausilio alla coppia circoscrivendo tempi, modi e contenuti della contesa coniugale.

All’inizio del processo mediativo le parti devono sottoscrivere un accordo, che prevede il pagamento in anticipo di almeno dieci sedute e l’impegno a partecipare ad incontri settimanali.

Nel caso in cui l’accordo non venga raggiunto la coppia si impegna a nominare un arbitro, cioè un terzo neutrale che concluda la negoziazione assumendo unilateralmente una decisione equa per le parti, attesa l’incapacità delle stesse di accordarsi su una comune soluzione possibile.

Alla prima seduta la coppia definisce un accordo provvisorio che regolamenti soprattutto i rapporti con i figli.

Ai coniugi viene richiesto di fornire tutto il materiale per lavorare, chiedendo loro di elencare analiticamente le entrare e le spese familiari. Allorquando nel corso degli incontri le emozioni travalicano ogni confine il mediatore con un backgruound legale può indirizzare la coppia da un altro professionista specializzato in mediazione familiare di tipo terapeutico.

La finalità del lavoro del mediatore è quella di attivare un processo di responsabilizzazione genitoriale dopo la crisi della coppia.

Nell’ambito della mediazione strutturata devono essere menzionati anche i contributi di marian Roberts (1997) e della Family Mediation Association di Londra alla quale fanno riferimento mediatori di prevalenza legale.

La mediazione terapeutica: in questo tipo di mediazione la priorità è data alla risoluzione degli aspetti emotivi-affettivi, compito del mediatore è quello di ristabilire un minimo di armonia familiare, creare cioè un’atmosfera meno conflittuale per tutelare i figli dalle controversie genitoriali.

Grande spazio è dedicato alla gestione delle emozioni all’interno del conflitto e questo al precipuo scopo di favorire un processo di cooperazione tra i coniugi.

In questo processo di mediazione vengono utilizzate molte tecniche di approccio terapeutico come la riformulazione dei sentimenti e del loro significato relazionale, l’ascolto partecipato.

Secondo questo modello di intervento prima di avviare un processo di negoziazione preliminarmente è necessario eliminare e circoscrivere la rabbia e l’ostilità.

Nelle sedute di mediazione vengono introdotti i figli allo scopo di focalizzare su di loro l’attenzione e di sollecitare il raggiungimento di un accordo in loro favore.

La mediazione negoziale: modello più diffuso negli Stati Uniti ed utilizza la procedura per la definizione degli accordi nel mondo del lavoro e nelle relazioni internazionali.

Le tecniche utilizzate sono quelle della negoziazione ragionata, ad esempio quella del baratto, i coniugi si dichiareranno disposti ad accettare un accordo solo se in cambio avranno ottenuto qualcosa.

In questo tipo di mediazione le emozioni e i sentimenti non vengono in rilievo e se i coniugi non riescono a tenere sotto controllo la loro emotività il mediatore farà un invio della coppia al terapeuta.

Sono previsti sia incontri individuali che congiunti durante, la scelta se effettuare incontri individuali è determinata dal clima emotivo tra i due coniugi, se il mediatore si trova di fronte a forti emozioni e c’è il rischio che il lavoro di mediazione possa subire un arresto a causa di tale clima, allora il mediatore opta per gli incontri individuali.

In questo tipo di mediazione il mediatore ha un compito centrale e preminente nel riassumere il contenuto dei colloqui avuti singolarmente con in coniugi.

La co-mediazione: si tratta di una mediazione condotta da un legale, che si occupa delle questioni tecnico-finanziarie e da un operatore sociale, che si occupa della comunicazione e della riduzione delle aree di conflitto. Questo approccio mediativo si differenzia dal modello c.d. integrato, in quest’ultimo, infatti, gli incontri di coppia avvengono separatamente nello studio dei rispettivi professionisti, mentre in quella interdisciplinare entrambi gli esperti sono presenti alle sedute, svolgendo ruoli diversi ma perseguendo un comune obiettivo.

La co-mediazione può offrire molti vantaggi, poiché le coppie nelle diverse fasi della separazione e del divorzio presentano visioni discordanti, necessità in conflitto fra loro e un insieme complesso di problematiche di natura coniugale, genitoriale, finanziaria e legale. Due mediatori che lavorano in squadra hanno maggiori possibilità di riconoscere e contenere sentimenti intensi, di rispondere a differenti bisogni e di mantenere il processo in movimento.

I co-mediatori con background professionali diversi, hanno la possibilità di completarsi a vicenda, offrendo una gamma più ampia di competenze, particolarmente utile nell’affrontare questioni collegate tra loro e relative ai figli e all’aspetto finanziario: la perizia del mediatore familiare nell’affrontare problematiche emotive e familiari può completare la competenza dell’avvocato sugli aspetti legali e finanziari.

Tuttavia Lisa Parkinson afferma che i co-mediatori non debbano rimanere confinati nella loro area di competenza ma con il crescere dell’esperienza di lavoro insieme, debbano integrare progressivamente le loro conoscenze e abilità [15].

La co-mediazione può fornire ottime opportunità di modalità strategiche, ad esempio quando uno dei coniugi necessità un’informazione, ma non la chiede, potrebbe essere non opportuno per il mediatore fornire una spiegazione che non è stata richiesta; ecco che un co-mediatore potrebbe con naturalezza far sorgere l’informazione, ponendo una domanda al collega per offrirgli uno spunto.

Ed ancora in co-mediazione, atteso i background differenti tra mediatori esistono notevoli opportunità di dibattiti costruttivi; dibattiti che possono costituire un modello nella gestione della diversità ed aiutare la coppia a sviluppare abilità di negoziato; e possono essere anche iompiegati strategicamente per ridurre degli squilibri di potere[16].





Professione mediatore familiare?

La mediazione familiare fa ingresso nel nostro ordinamento con la Legge n. 285 del 28 agosto 1997 contenente “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” nel cui ambito è stato previsto all’art. 3, lett. a che la “realizzazione di servizi di preparazione e di sostegno alla relazione genitori-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché di misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo assistenziali” “ possono essere perseguite, in particolare attraverso […] servizi di mediazione familiare e di consulenza per famiglie e minori al fine del superamento delle difficoltà relazionali” (art. 4, lett i).

Successivamente si è parlato di centri di mediazione familiare con la Legge n. 154 del 4 aprile 2001 che ha inserito nel codice civile l’art. 342 ter regolante gli ordini di protezione.

L’art. 342 ter c.c., rubricato - Contenuto degli ordini di protezione – testualmente recita: “Con il decreto di cui all’art. 342 bis il giudice ordina al coniuge convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone d in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.

Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiamo come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati […]”.

Nonostante le specifiche previsioni legislative, le applicazioni dell’istituto della mediazione familiare sono state molo scarse.

Come esposto nel paragrafo precedente, nel procedimento di separazione personale dei coniugi la mediazione familiare trova ingresso con la Legge n. 54 del 2 agosto 2006 nota come - Legge sull’affido condiviso - , che è intervenuta novellando alcuni articoli del codice civile; il preciso riferimento normativo all’istituto della mediazione familiare è contenuto nell’art. 155 sexies, secondo comma, c.c., introdotto dall’art. 1 delle legge 54/2006.

L’art. 155, sexies, 2° comma, c.c. rubricato Poteri del giudice e ascolto del minore dispone quanto segue: “ […] Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale materiale dei figli.”

Nonostante l’espressa previsione normativa, ad oggi, la legislazione statale non ha dettato norme che regolamentino l’accesso alla professione, non ha creato elenchi presso cui iscrivere coloro che terminato il percorso di studi possano fregiarsi del titolo di mediatori.

Prima di addentrarci nell’esame della mediazione familiare è necessario fare un piccolo inciso sull’attività di conciliazione e mediazione di recente regolamentata dal D. Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 che ha introdotto e regolamentato l’attività di mediazione in materia civile e commerciale, attività che non è sovrapponibile a quella in ambito familiare di cui all’art. 155 sexies c.c.

Nell’art. 1 del D. Lgs. 28/2010 viene dettata la definizione di mediazione, di mediatore, e di conciliazione ecc. intendendo per mediazione “l’attività comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia sia nella formulazione di una proposta.”

Nell’art. 5, invece, è definito l’ambito di applicazione della mediazione civile commerciale, oggi più comunemente definita come Mediaconciliazione, in tale ambito sono ricomprese le vertenze in tema di diritti reali (distanza nelle costruzioni, usufrutto e servitù di passaggio ecc.), divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, controversie in materia di condominio e risarcimento del danno derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti.

La Mediaconciliazione si occupa, dunque, di diritti disponibili mentre la Mediazione Familiare ha ad oggetto diritti non disponibili, quali lo status di genitore, le problematiche relative all’affidamento dei figli minori, oltre alla quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge e del minore.

La figura di Mediatore di cui al D. Lgs. 28/2010 è stata poi disciplinata attraverso l’emanazione di regolamenti di attuazione, che hanno definito la figura professionale, individuato i requisiti per l’accesso ai corsi di formazione ed istituito un registro determinandone i criteri per l’iscrizione.

Per quanto sopra, emerge che l’unica attività professionale di mediazione oggi disciplinata da legge statale nel nostro ordinamento giuridico è quella della “Conciliazione civile e commerciale”.

Forse proprio questo vuoto normativo ha determinato nel 2008 la Regione Lazio a legiferare in materia mediazione familiare, emanando il 24 dicembre del 2008 la Legge Regionale n. 26 – Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare - .

Nell’art. 1 della citata fonte regionale è stata dettata la definizione di mediazione, intesa come “un percorso che sostiene e facilita la riorganizzazione della relazione genitoriale nell’ambito di un procedimento di separazione della famiglia e della coppia alla quale può conseguire una modifica delle relazioni personali tra le parti”.

Nei successivi articoli 2 e 5 si affronta il tema degli obiettivi della legge e dei centri di mediazione familiare, negli articoli 3 e 4 viene descritta la figura del coordinatore per la mediazione familiare, figura professionale avente la qualifica di mediatore familiare ed istituito presso ogni azienda unità sanitaria locale.

Infine nell’art. 6 è istituito presso “l’assessorato regionale competente in materia di politiche sociali

per regione l’elenco regionale dei mediatori familiari al quale è previsto possono iscriversi coloro che sono in possesso di laurea specialistica in discipline pedagogiche, psicologiche, sociali o giuridiche nonché di idoneo titolo universitario, quale master, specializzazione o perfezionamento, di durata biennale, di mediatore familiare oppure di specializzazione professionale conseguita a seguito della partecipazione ad un corso, riconosciuto dalla Regione Lazio della durata minima di cinquecento ore”.

Con la Sentenza n. 131 depositata il 12 aprile del 2010, la Corte Costituzionale con la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e artt. 3, 4, 6 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008 n. 26, ha posto nel nulla l’unica disposizione normativa che ad oggi regolamentava la professione di mediatore, disciplinandone anche i criteri per l’accesso alla professione.

La Corte ha affermato che la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.

Anche l’istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per l’iscrizione in esso, hanno una funzione individuatrice della professione che è preclusa alla competenza regionale (sentenze n. 93 del 2008 e n. 138 e n. 328 del 2009).

Il giudizio di legittimità costituzionale è stato sollevato con ricorso notificato il 27 febbraio 2009, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, relativamente agli artt. 1, comma 2, e artt. 3, 4, 6 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008 n. 26, nonché alle disposizioni con essi inscindibilmente connessi o dipendenti e all’art. 1 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008 n. 27 (Modifiche alla deliberazione legislativa approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 10 dicembre 2008) affermandone il contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui esso attribuisce allo Stato la competenza legislativa riguardo ai principi fondamentali in materia di professioni.

La censura mossa alla legge Regione Lazio n. 26/2008 è quella di avere disciplinato la figura del mediatore e del coordinatore per la mediazione familiare, introducendo così una figura professionale non regolamentata dalla legge statale.

Infatti, l’art. 1, comma 2, della legge Regione Lazio n. 26/2008 ha dettato una definizione generale del ruolo e della figura professionale del mediatore familiare; gli artt. 3 e 4 hanno disciplinato la figura di mediatore familiare costituita dal coordinatore per la mediazione familiare (istituito presso ogni Asl), l’art. 6, infine, ha istituito un elenco regionale presso l’assessorato regionale dei mediatori familiari ed indicato l’analitica disciplina dei requisiti per l’accesso all’elenco stesso.

Ebbene, secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri le sopracitate norme sarebbero in contrasto con l’art. 117 della Costituzione, terzo comma, norma che come modificata dalla Legge Costituzionale n. 3 del 18.10.2001, assegna alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, quella in ordine alle “professioni”, relativamente alle quali le Regioni possono legiferare “nell’ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o in difetto desumibili dalle leggi statali vigenti” (art. 1, comma 3, Legge 05.06.2003 n. 131).

Rientra nella competenza delle Regioni soltanto la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale.

La difesa della Regione Lazio in ordine alla sollevata eccezione di incostituzionalità si è svolta sul significato e sulla differenza tra “figura professionale” e “professionista” quale lavoratore autonomo operante nell’ambito della mediazione familiare.

La Regione Lazio, in sua difesa, ha affermato che la normativa regionale emanata verteva su aspetti pubblicistici della figura professionale del mediatore, figura professionale di un soggetto che opera all’interno di una struttura sanitaria e non a seguito di un mandato professionale nell’ambito di un contratto d’opera.

Ciò è desumibile dal dato letterale della norma che all’art. 1, comma 2, prevede che il mediatore familiare venga sollecitato dalle parti o su invito del giudice o dei servizi sociali comun inali o dei consultori o del garante dell’infanzia e dell’adolescenza […]”.

Il testo normativo dunque prevede che l’attività del mediatore familiare non trovi la sua fonte in un contratto d’opera intellettuale, bensì in un sollecito, da parte degli interessati, cioè in una richiesta di intervento quale può rivolgersi solo ad una pubblica autorità ovvero in un invito del giudice o di enti pubblici.

Trattasi dunque di situazione ben lontano dal conferimento di un mandato professionale di tipo privatistico.

Secondo la Regione Lazio le finalità del mediatore familiare di cui alla legge regionale citata sarebbero ben lontane dall’esercizio di una professione, ai sensi dell’art. 117 Cost.

Continua ancora la Regione, che anche la stessa previsione di cui all’art. 6 dell’elenco regionale dei mediatori, non è da intendersi come istitutivo di una professione, ma assolve soltanto una funzione di individuare una lista di soggetti, dotati di particolare professionalità, alla quale poter attingere per il loro inserimento nell’ambito delle ASL o eventualmente di altri enti regionali.

Conclusivamente, la Regione afferma che dal complesso delle norme regionali emergerebbe che il mediatore familiare o il coordinatore per la mediazione, è in realtà un ufficio, per i quali i singoli addetti svolgono la loro opera, non in quanto scelti dalle parti o dal giudice o da altre autorità, ma in quanto inseriti in un’organizzazione gerarchicamente ordinata, nella quale non assume rilievo esterno l’intuitus personae del singolo operatore.

La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di illegittimità sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ritenendo che l’impianto complessivo della legge regionale dovesse essere ricondotto propriamente alla materia concorrente delle “professioni” di cui all’art. 117, comma terzo, Costituzione in quanto la legge regionale contiene una definizione della mediazione familiare, disciplina le caratteristiche del mediatore familiare e stabilisce gli specifici requisiti per l’esercizio dell’attività con la previsione di un apposito elenco e delle condizioni per la iscrizione in esso, e così facendo invade senza alcun dubbio una sfera di competenza statale.

Conclude la Corte Costituzionale che la legislazione statale con l’art. 155-sexies c.c., introdotto dalla legge n. 54 dell’8 febbraio 2006, ha soltanto accennato all’attività di mediazione familiare, senza prevedere alcuna specifica professione, ed ad oggi non ha introdotto la figura professionale del mediatore familiare, né stabilito i requisiti per l’esercizio dell’attività.

Nell’assenza di una cornice normativa statale, hanno operato per anni e continuano ad operare le associazioni private sparse in tutta Europa, che nel 1997 hanno dato origine al Forum europeo dei centri di formazione alla mediazione familiare che ha effettuato il suo primo congresso internazionale a Lione nel giugno del 1998.

Il Forum ha promosso una omogeneizzazione dei programmi di formazione dei diversi centri ed istituti, stabilendo degli standard minimi formativi per garantire il riconoscimento dei percorsi e dei diplomi e conseguentemente un livello qualitativo di formazione a garanzia dell’utenza nell’incontrare mediatori dotati di adeguata professionalità [17].

Il 20 maggio del 2010, proprio al fine di colmare questo vuoto normativo, è stato presentato in Senato il Disegno di Legge n. 2203, intitolato – Istituzione e regolamentazione della figura professionale del mediatore familiare – ed il 17 novembre 2010, alla Camera dei Deputati, il Disegno di Legge n. 3868 intitolato - Istituzione della figura professionale del mediatore familiare - .

Nel DDL n. 2203 all’art. 3 rubricato – Istituzione della professione di mediatore familiare – si dispone che “Al fine di garantire l’effettività di quanto stabilito dagli articoli 1 e 2 , è istituita la figura professionale del mediatore familiare, di seguito denominato “mediatore”+. Esso svolge le seguenti funzioni:

a) si adopera affinché i genitori elaborino in prima persona un accordo di separazione soddisfacente per sé e per i propri figli;

b) promuove l’esercizio da parte dei soggetti coinvolti della comune responsabilità genitoriale;

c) favorisce, in maniera neutrale e in completa autonomia dal procedimento giudiziario, la ricerca di un accordo in sede di separazione o di divorzio, supportando i soggetti interessati anche nella fase successiva alle decisioni di carattere giurisdizionale;

d) sostiene le parti affinché si possa giungere ad un’intesa che sia frutto del libero consenso di entrambi i coniugi.”

L’art. 4 del DDL n. 2203 è dedicato ai – Requisiti per l’esercizio dell’attività di mediatore – “L’esercizio dell’attività di mediatore è subordinato ad una specifica formazione professionale, acquisire, dopo il conseguimento delle lauree di cui al comma 4, mediante corsi di formazione, addestramento e un tirocinio teorico-pratico in mediazione familiare, cos’ come definito dall’art. 2 della presente legge, attivati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’art. 3 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 162 del 1982.

I corsi di specializzazione di cui al comma 1 prevedono un monte ore complessivo non inferiore a 240.

Per esercitare la professione i mediatore è necessario aver conseguito l’abilitazione in mediazione familiare mediante l’esame di Stato ed essere iscritto nell’apposito albo professionale.

Con regolamento adottato con decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro sei mesi alla adata di entrata in vigore della presente legge, sono stabilito:

a) i corsi di laurea il cui conseguimento costituisce requisito per l’ammissione ai corsi di specializzazione di cui al comma 1;

b) le modalità di svolgimento e i contenuti dell’esame di Stato di cui al comma 3.”

L’art. 6 del DDL n. 3868 rubricato - Corsi di formazione e di specializzazione – detta la disciplina in tema di corsi di formazione, prevedendo testualmente che “L’organizzazione dei corsi di formazione e di specializzazione per mediatore familiare è attribuita alle università, agli enti locali, nonché ad associazioni, società e de enti accreditati dall’associazione.

Ai fini del riconoscimento da parte dell’Associazione, i corsi di formazione e di specializzazione per mediatore familiare devono essere conformi ai parametri stabiliti dalla medesima Associazione ed essere coordinati da un mediatore familiare iscritto alla stessa Associazione, che riveste la qualifica di direttore didattico.”

In attesa che i lavori parlamentari giungano alla fine con l’approvazione di un testo di legge che disciplini la figura professionale del Mediatore Familiare, potremmo ritenere la mediazione familiare non una vera e propria professione ma una competenza funzionale praticabile da varie professionalità come ad esempio è stato indicato dalla Commissione interministeriale presso il ministero per gli Affari sociali presieduta dal senatore Ossicini (1995) (Marzotto, 1997) [18].







[1] Busso Pasquale (2004), Lotta e cooperazione, Armando Editore, Roma, pagg. 25, 26. [2] Vittorio Cigoli (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna, pag. 60. [3] Vittorio Cigoli (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna. [4] Tonia Cancrini (2008), Un tempo per il dolore, Quaderni AIAF 2008/1, pag. 98 [5] John M. Haynes e Isabella Buzzi (1996), Introduzione alla mediazione familiare, Giuffrè, Milano. [6] John M. Haynes e Isabella Buzzi (1996), Introduzione alla mediazione familiare, Giuffrè, Milano. [7] John M. Haynes e Isabella Buzzi (1996), Introduzione alla mediazione familiare, Giuffrè, Milano. [8] Busso Pasquale (2004), Lotta e cooperazione, Armando Editore, Roma, pag. 41. [9] Vittorio Cigoli (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna. [10] Vittorio Cigoli (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna. [11] Dino Mazzei (2002), La mediazione familiare, Raffaello Cortina Editore, Milano. [12] Dino Mazzei (2002), La mediazione familiare, Raffaello Cortina Editore, Milano. [13] Vittorio Cigoli (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna, pag. 60. [14] Vittorio Cigoli (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna. [15] Lisa Parkinson (2003), La mediazione familiare, Erickson, Trento, pag.77. [16] Lisa Parkinson (2003), La mediazione familiare, Erickson, Trento, pag.78. [17] Dino Mazzei (2002), La mediazione familiare, Raffaello Cortina Editore, Milano, pag. 8. [18] Dino Mazzei (2002), La mediazione familiare, Raffaello Cortina Editore, Milano, pag. 58.

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